Prof. Mauro Tognon, a nome del Comitato Promotore.
Temi di grande attualità e notevole impatto pubblico ai giorni nostri sono la plastica e il suo utilizzo.
Oggi se ne parla solo male, eppure questo materiale ha migliorato la nostra qualità di vita. Cosa è cambiato?
Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, realizzò con il polipropilene un’invenzione fondamentale per l’umanità. L’utilizzo della plastica segna un’epoca nella storia dei materiali, così come fu prima per la pietra, il ferro, il bronzo: tappe di un’evoluzione in cui assistiamo al progresso della civiltà attraverso lo sviluppo delle proprie attività, proporzionalmente alla crescita del benessere e delle condizioni di vita degli uomini.
Allora perché quando oggi si parla del polipropilene, e quindi della plastica, si tende a individuarlo come fosse il “diavolo”? Il vero problema non risiede in questo materiale, bensì nella gestione sbagliata che se ne fa al termine del suo utilizzo.
Si pensi che, paradossalmente, la plastica nasce con l’obiettivo di creare oggetti indistruttibili, mentre oggi essa viene impiegata per realizzare oggetti monouso!
Le sue numerose qualità – quali versatilità, resistenza, producibilità attraverso processi dai costi tutto sommato contenuti – l’hanno resa fruibile e sfruttabile in diversi settori industriali, tanto da renderla una minaccia per la sua incontrollata diffusione. Disperdere nell’ambiente un materiale indistruttibile, come è stata nostra abitudine fare fino a pochi anni fa – ha di fatto generato un pericolo per la nostra salute.
Un parallelismo molto forte – eppure completamente pertinente – per spiegare quanto questo comportamento possa essere nocivo e quello con l’abbandono nell’ambiente dei liquami umani. Oggi sembra impossibile, eppure urine e feci – sino a metà dell’800 – venivano dispersi senza nessuna protezione e processamento.
Sono occorsi diversi secoli all’uomo per individuare in queste sostanze una possibile fonte di malattie e per organizzarsi nel raccoglierle all’interno di fogne al fine di evitare contagi, limitando altresì il richiamo di topi ed insetti, a loro volta portatori di malattie o di parassiti.
Quando e perché l’uomo si accorse di questo pericolo? Più o meno a metà dell’800, quando Pasteur e altri ricercatori, grazie all’utilizzo del microscopio, rilevarono in urine e feci la presenza di microrganismi animati, che furono chiamati “batteri”, e di cui mai sino ad allora si era solo sospettata l’esistenza.
La conoscenza alimenta la conoscenza e il progresso: una volta compreso questo, fu infatti anche immediatamente compreso che urine e feci avrebbero dovuto essere opportunamente veicolati in apposite fognature e trattati prima del loro smaltimento. Una conquista che oggi diamo per scontata, ma che nel corso dei decenni ha salvato la vita di migliaia di persone.
Allo stesso modo è doveroso oggi contenere la diffusione della plastica – anch’essa potenziale fonte di malattie per l’uomo – evitandone la dispersione nell’ambiente e attuando politiche di raccolta e riutilizzo.
Dagli inizi degli anni ’60 – epoca a cui risale la produzione industriale di questo materiale – ad oggi, la quantità incustodita immessa nell’ambiente ha raggiunto un livello critico di presenza.
Eppure la plastica è un materiale riciclabile al 100%: è sufficiente riprocessarla inizialmente e di fatto diventa una fonte alternativa al petrolio.
La sensibilizzazione che oggi si sta cercando di portare all’attenzione del grande pubblico è quella di non utilizzare la plastica una sola volta, bensì di raccoglierla per consentirne la rigenerazione e il riutilizzo: nell’ambito di una economia circolare, ciò implica la creazione di un indotto economico molto rilevante. Già diverse nazioni hanno legiferato in merito.
È indispensabile che la nostra società vada in questa direzione, non solo per impedire la contaminazione dell’ambiente e di conseguenza l’insorgenza di malattie legate ad un materiale sintetico, ma anche per sfruttare una risorsa economica nelle sue piene potenzialità.