Prof. Mauro Tognon, a nome del Comitato Promotore.
La medicina: ricerca e sperimentazione contro le “fake news”
La medicina è un settore in cui molto facilmente si diffondono false notizie, per la capacità intrinseca di questa scienza di nutrire speranza in pazienti che, disperati, vedono in ogni possibile nuova informazione una luce per la loro salvezza. Agganciarsi a qualunque cosa, in questo ambito, è più che umano.
Per questo, non appena viene annunciata una possibile scoperta in ambito medicale, ancor prima di testarne la validità, le persone sono portate a crederci, a sperare nel miracolo e a “buttarsi” nella nuova terapia.
Un esempio di cura acclamante la guarigione da ogni tipo di cancro si ebbe negli anni ’60, con il famoso Siero di Bonifacio: partendo dall’errato presupposto che le capre fossero inattaccabili dal tumore, il medico veterinario Liborio Bonifacio ne desunse che un siero ricavato dalla capra avrebbe potuto curare anche le persone.
Realizzò quindi un preparato estratto a partire dalle feci e dall’urina di questo animale macellato e opportunamente sterilizzato, da iniettarsi in vena ad individui affetti da patologia oncologica. La presunta cura ottenne grande risalto nei giornali di quegli anni: una raccolta di fondi fu promossa per consentire a Bonifacio di produrre questo siero per la moltitudine di persone che ne faceva richiesta. La popolarità esponenziale di questa cura spinse l’allora Ministro della Sanità, Camillo Ripamonti, ad autorizzarne la sperimentazione. Quello che risultò fu purtroppo la totale inefficacia della cura nel fare regredire la malattia, registrando anche decessi durante la fase di osservazione.
Un altro esempio di terapia che parve miracolosa alla fine degli anni ‘90, ma che tale non si rivelò, fu il cosiddetto Metodo Di Bella. Anche in questo caso un medico, professore di fisiologia umana- senza significativi precedenti nel settore della scienza – improvvisamente realizzò una sorta di cocktail dichiarandone capacità mirabili per la cura e la guarigione dei tumori. Molti pazienti decisero di provarci. L’immediata sensazione che questi malati provavano era un recupero di energia: un ingannevole sollievo iniziale, cui contribuiva la sospensione del trattamento chemioterapico: dietro a questo apparente benessere, però, la malattia progrediva inesorabilmente, come fu dimostrato.
La lotta contro le patologie neoplastiche occupa tuttora uno spazio centrale nell’ambito della ricerca scientifica e della medicina. Solo nel giro dell’ultimo secolo, parlando di medicina recente, sono stati sviluppati e perfezionati almeno cinque diversi approcci terapeutici che stanno rivoluzionando le terapie In questo ambito.
Nel corso degli anni, si è infatti passati dalla chirurgia alla chemioterapia, cui è stata affiancata la radioterapia, per arrivare – circa dieci anni fa – all’introduzione di nuovi farmaci biologici, ovvero sieri contenenti anticorpi in grado di conoscere e contrastare esclusivamente le cellule tumorali. Attualmente, la ricerca in questo ambito è volta all’affinamento di terapie immuno cellulari, che si stanno già rivelando efficaci per contrastare alcuni tumori. Queste terapie si basano sull’introduzione di linfociti rieducati/ingegnerizzati in modo tale da riconoscere le cellule tumorali, laddove gli effetti dell’immunosenescenza – ovvero dell’invecchiamento del nostro sistema immunitario – ha determinato l’incapacità da parte di cellule invecchiate di riconoscere la malattia.
La tecnologia del DNA ricombinante e i vantaggi derivanti dall’ingegneria genetica
La tecnologia del DNA ricombinante è forse l’applicazione di conoscenze più importante, a partire dal secolo scorso (1975), relativamente alle scienze biologiche, punto di partenza per i successivi sviluppi dell’ingegneria genetica.
Il 1975 segna il “punto di rottura”: risale infatti a questa data l’applicazione degli enzimi di restrizione estratti da batteri con la quale si arrivò ad individuare all’interno del DNA la presenza di specifiche sequenze di riconoscimento “tagliabili” e “ricomponibili”. Per la prima volta, l’uomo riuscì a processare il DNA, scomponendolo in molecole più piccole frazionabili, costituite da nucleotidi, presenti in un numero elevatissimo all’interno del genoma umano, circa 6,4 miliardi!
Per fare un paragone, sarebbe come sminuzzare un disegno in tante piccole tessere e farne un puzzle, potendo poi ricomporne i tasselli in diverse combinazioni ottenendo immagini sempre nuove.
Allo stesso modo, gli strumenti del DNA ricombinante consentono oggi di avere a disposizione ed assemblare segmenti di DNA di organismi diversi, realizzando combinazioni impensabili (il DNA dell’uomo potrebbe essere unito a quello di una tartaruga o anche di un dinosauro) e creando il presupposto per fare esprimere – ad esempio – proteine animali in una pianta o viceversa.
Diventa così possibile prendere un animale – come potrebbero essere una capra o una pecora – inserire nel suo ovulo durante la fecondazione un frammento di DNA di una diversa specie (anche umana) e ricavarne di conseguenza un latte con una particolare proteina desiderata, che in questo modo diventa così disponibile in grande quantità.
La tecnologia del DNA ricombinante applicata in ambito medico ha consentito di curare con successo diverse patologie umane. Ad esempio, è stata realizzata l’insulina ricombinante, che consente oggi terapie in assenza dei gravissimi rischi che si correvano in passato, quando l’insulina veniva estratta dai maiali o l’ormone della crescita estratto un temo dai cadaveri con conseguente possibilità di trasmissione di patologie, a volte dall’esito fatale.
Questo oggi non avviene più. Infatti, queste proteine umane ottenute con le tecniche del DNA ricombinate e dell’ingegneria genetica sono disponibili ormai da anni in farmacia.
Dal punto di vista sociale, enormi sono le implicazioni di questa meravigliosa scoperta nell’ambito forense/indagini criminali. Molecola dopo molecola, con il sequenziamento del genoma umano, siamo ora in grado di analizzare l’ordine di quei 6,4 miliardi di nucleotidi che compongono il nostro DNA. Essendo il patrimonio genetico di ogni persona unico, ciò consente di identificare i singoli individui, e tra questi anche i criminali, con una probabilità superiore al 99,99%.
Si pensi al delicato lavoro dei RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche all’interno dell’Arma dei Carabinieri) i cui centri più importanti a livello nazionale si trovano a Parma, Roma e Messina. o della Polizia Scientifica. In questi centri investigativi, la possibilità di raccogliere e analizzare campioni di DNA è stata la chiave di volta per l’identificazione certa dei colpevoli.
Citiamo a tal proposito il successo dell’indagine sul caso di Yara Gambirasio, uccisa nel 2010, e il processo al presunto omicida, Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo nel 2016 in base all’analisi del DNA.
Le indagini furono svolte da Carabinieri, Polizia e molti laboratori sia pubblici che privati. L’idea dei genetisti fu quella di fare un’analisi a tappeto di tutta la popolazione potenzialmente coinvolta nel delitto, alla ricerca del DNA corrispondente a quello del potenziale omicida. Fu così trovata somiglianza – ma non identificazione – tra il DNA di un soggetto analizzato e il campione di riferimento. Da questo risultato si partì per analizzare il DNA di parenti e poi su, fino al padre, le cui ossa furono esumate alla ricerca di conferme. Poiché il DNA isolato sul luogo del delitto era comunque diverso da quello dei figli dichiarati, nacque la pista di un figlio illegittimo. Dopo aver esaminato migliaia di profili genetici, gli investigatori videro confermate le loro ipotesi e il presunto colpevole individuato.